Fabrizia Buzio Negri 1995

Fabrizio Buzio Negri
Da “Catalogo” 1995

SOLITARIA AVVENTURA NELL’UNIVERSO DELL’UOMO

Ritornare nello studio di Bolzoni, dopo il tempo della lontananza, e ritrovar le frequentazioni, le verifiche di un’esperienza artistica che mostra radici salde e tanti nuovi rami. Il senso della pittura non è rimasto invariato , da quando la firma era Bolzoni; oggi, s’approfonda in una legittimazione delle insidie esistenziali, attua riflessioni contrastanti su cromatismi e materia. Due i tempi di un divenire artistico che si compie, dapprima, in trame elaborate per velature, raffinate nel colorismo che riporta alla fragilità della memoria, come un pensiero che balena, ma subito si smaglia in una complessità visivamente remota. Nel contesto attuale, lo scatto improvviso coloristico e formale porta la pittura di Bolzoni, dagli angoli remoti della memorialità , vicina al sogno, al duro impatto con la vita. “Oggi – afferma – non posso creare un quadro senza un movente. E’ la storia dell’umanità che mi prende, si fissa indelebile sulla tela, attraverso i colori e gli impasti da cui emergono le figure”. Dall’estraniarsi di non molti anni prima nelle nature, nei paesaggi al limite di una surrealità, dunque, al recentissimo clangore delle opere cariche di tensione, eloquenti già di per sé. La coscienza del proprio IO artistico comincia a maturare, durante i tempi della formazione giovanile, nel distacco della figurazione tradizionale verso una strutturazione della composizione che, da statica, si apre ai movimenti dell’interiorità.
Gli interrogativi ricorrono nelle riflessioni, nelle incertezze, entro la dimensione spirituale in cui il pittore si è sempre ritrovato. Il suo modo d’esprimersi affonda, vieppiù, in motivazioni, che da narrative divengono intrinseche al colore/materia. Le cromie brillanti si scompaginano in variazioni dinamiche quasi neo-futuristiche, che la marca tonale innerva e ben supporta. E’ come se Natura e Vita emblematicamente si trasfigurassero in uno spazio dichiaratamente lirico, che la luminosità verde-azzurrata dell’insieme scandisce e discioglie in una musicalità dalle molteplici variazioni, graffite da brevi, piccoli segni, come nell’ Apocalisse o in Onda. E la musica ritorna nelle opere ultime, ma in un’accelerazione di ritmi, nell’irruenza del colore non più plastico. Bolzoni: la ricerca della verità si fa aspra e veemente, non percorre più gli slanci verso l’infinito. I corpi azzurrati chini nell’atto di spregio, la sofferenza umana e divina nel martirio di una forma corporea anamorfica della croce registrano bruschi sommovimenti. La visione si scompagina i Terrae Motus o nelle frange estreme evocative dell’umanità in Rocce Laviche. Significativo il timbro forte, esasperato; quando si pensava che l’artista avesse raggiunto con le precedenti trattazioni di forma e colore una sorta di limbo del sentimento e della misura, tutto viene rimesso in discussione, in una formula incredibilmente densa di vitalità. Il paesaggio dei viaggi esotici si carica di connotazioni stridenti, nell’umile lavoro delle donne che raccolgono il tè o nel colorismo di una fatica, antica come il mondo, per la Piazza dei conciatori. Il registro figurale si fa aspro, talora la non-forma avverte molto di più della locuzione formale.
La bimba, rassegnata vittima della Guerra, è presenza/ossessione senza il riparo della retorica. Corporeità e fisicità nell’atto bestiale dello Stupro: si tratta di una composizione dall’impianto scenico come di dannazione, mentre le figure appaiono risucchiate in un gorgo che le attornia. Gli sprazzi di colore – energia vitale sprigionata o costruzione dolente ? – sembrano archiviare in una luce satanica le figure turbate degli impasti tormentati. Reggae esordisce con il suonatore abbandonato nella luce orgiastica di una tecnica mista, dove i pennarelli colorati si appropriano della figura per disintegrarla in mille filamenti convulsi, come la musica che dà la spinta ispirativa. E su tutto, l’ Autoritratto sta ad indicare quella sorta di ‘passaggio a Nord-Ovest’ , emblematico di un rinnovamento che si sta sviluppando ben lungi dal passato. Bolzoni vuole in tal modo indicare la vulnerabilità umana dinnanzi all’aggressione del vivere. Alti i momenti di “pathos” : il gesto drammatico si inserisce in quella storia delle avanguardie, che porta alla ribalta l’Arte Degenerata, sconfinamento dolente e aggressivo attraverso l’audacia del colore espressionistico, nella tragedia del vivere. Il nuovo spazio dell’artista varesino è rappresentativo dell’uomo d’oggi, degli eventi che segnano l’anima e corpo , nelle notizie portate ogni momento dal balenare continuo dei “media” davanti ai nostri occhi. E’ una concezione di pittura, differente dalle espressioni precedenti, perché introduce, all’improvviso, “dentro” l’evento. L’avventura solitaria di Bolzoni continua tra interiorità e punti di riferimento del reale; la sua creatività è cresciuta in assoluta autonomia, senza ascoltare gli allettamenti mercantili, in una complessa proiezione della propria coscienza. Gia’ Arturo Martini, al termine di una lunga torturante crisi, auspicava di non diventare “mai prigioniero di uno stile”. Mai Bolzoni si e’ adagiato nella ripetitività, mai ha voluto siglare una connotazione fissa. Ora intende mobilitare tutte le sue energie creative ad esprimere i continui mutamenti di un tempo sempre più disarticolato. E questo, suona a merito dell’artista.